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Se il contratto prevede una clausola risolutiva espressa può essere emessa nota di variazione con iva

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Qualora in un contratto si verifichi una causa risolutiva espressa, quale il mancato pagamento (art. 1456 c.c.) o l’inutile decorso dei congruo termine intimato per iscritto alla parte inadempiente (art. 1454 c.c.) la parte creditrice può emettere una nota di variazione dell’iva.

E’ quanto emerge dalla nota del 16 Marzo 2015 (Interpello Agenzia Entrate 16.3.2015 n. 954-27/2014) nella quale l’Agenzia conclude dicendo:

L’art. 26, secondo comma, del DPR n. 633 del 1972, infatti, tra le ipotesi che consentono al cedente o prestatore del servizio di variare in diminuzione l’imponibile o l’imposta, individua anche la “risoluzione”, senza distinguere tra risoluzione giudiziale o di diritto.
Si precisa, quindi, che il verificarsi della condizione contemplata da una causa risolutiva espressa apposta al contratto, quale il mancato pagamento (art. 1456 c.c.) o l’inutile decorso dei congruo termine intimato per iscritto alla parte inadempiente (art. 1454 c.c.) possono costituire il presupposto legittimante l’attivazione della procedura in esame (Cassazione 17 giugno 1996, n. 5568, Cassazione 8 novembre 2002, n. 15696, risoluzione, 16 dicembre 1975, prot. 502289, risoluzione 31 marzo 2009, n. 85/E).

Si riporta di seguito la nota citata


Interpello Agenzia Entrate 16.3.2015 n. 954-27/2014
OGGETTO: Consulenza giuridica n. 27/2014 – ALFA

Con la richiesta di consulenza giuridica specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
QUESITO
L’art. 26, secondo comma, del DPR n. 633 del 1972, consente al cedente del bene o prestatore del servizio di operare la variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta, in conseguenza, tra l’altro, del mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente a causa di “procedure esecutive rimaste infruttuose”.
Ciò posto, ALFA pone i seguenti quesiti:
1) se sia possibile emettere note di variazione in diminuzione dell’IVA quando, per crediti di modesto importo, sia dimostrata l’antieconomicità dell’avvio della procedura esecutiva;
2) se sia possibile emettere note di variazione in diminuzione dell’IVA a seguito di un verbale di pignoramento negativo;
3) se sia possibile emettere note di variazione in diminuzione dell’IVA quando l’asta, nella quale si tenta di vendere il bene pignorato, risulti più volte deserta.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DALL’ISTANTE
L’istante ritiene che a tutti i quesiti debba essere data una soluzione positiva in base ai prevalenti principi comunitari di neutralità e proporzionalità dell’IVA, recentemente ribaditi dalla Corte di Giustizia europea con sentenza del 26 gennaio 2012. causa C-588/10, in relazione all’art. 90 della direttiva del Consiglio 2006/112/CE.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Ai sensi dell’art. 90 della direttiva del Consiglio 2006/112/CE, che disciplina le ipotesi di riduzione della base imponibile, “1. In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l’operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri. 2. In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1”.
Il legislatore comunitario, pertanto, distingue tra le ipotesi di annullamento, risoluzione, recesso e riduzione del prezzo, da un lato, e quella di non pagamento (anche parziale), dall’altro. Per la prima categoria di fattispecie, infatti, in base al principio secondo cui la base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto, la norma impone agii Stati membri di stabilire una “debita” riduzione della stessa. Al contrario, nel caso di mancato pagamento, è riconosciuta agii Stati membri la possibilità di escludere la riduzione della base imponibile. Come osservato dalla Corte di Giustizia, “tale facoltà di deroga … si fonda sull’assunto che, in presenza dì talune circostanze ed in ragione della situazione giuridica esistente nello Stato membro interessato, il mancato pagamento del corrispettivo può essere difficile da accertare o essere solamente provvisorio” (cfr. sent. 3 luglio 1997, causa C-330/95).
Ciò posto, con la modifica dell’art. 26, secondo comma, del DPR n. 633 del 1972, recata dall’art. 2, comma 1, lettera c-bis), della legge n.30 del 1997 di conversione del decreto legge n. 669 del 1996, il legislatore nazionale ha parzialmente rinunciato alla facoltà accordata dalla normativa comunitaria, stabilendo che il mancato pagamento è rilevante limitatamente al caso di “procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose'”.
La lettera della norma non fa alcun riferimento all’antieconomicità della procedura esecutiva ai fini dell’emissione delle note di variazione in diminuzione ex art. 26, secondo comma, del DPR n. 633 del 1972. Peraltro, non appare del tutto conferente il richiamo alla sentenza 26 gennaio 2012, causa C-588/10, della Corte di Giustizia europea, la quale, facendo riferimento ai principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità in relazione all’art. 90, par. 1, della direttiva del Consiglio 2006/112/CE, interviene esclusivamente nel campo dei mezzi di prova. Ugualmente, non è significativa la circolare del 1° agosto 2013, n. 26/E, che definisce il concetto di antieconomicità della riscossione del credito per la diversa disciplina della deducibilità della perdita su crediti di “modesta entità” ai fini delle imposte dirette. Tale categoria di crediti è stata, del resto, espressamente individuata dall’art. 101 del Tuir, come recentemente modificato dall’art. 1, comma 160, lett. b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147.
Per le ragioni sopra esposte, quindi, si ritiene che non sia possibile emettere note di variazione in diminuzione dell’Iva per antieconomicità dell’avvio della procedura esecutiva.
Riguardo il secondo quesito, si osserva quanto segue.
Come già chiarito dalla prassi, il mancato pagamento (in tutto o in parte) del corrispettivo, assume rilievo esclusivamente nel caso in cui il creditore abbia esperito le azioni volte al recupero del proprio credito, ma non abbia trovato soddisfacimento (ris. 16 maggio 2008, n.195/E). Tuttavia, in questa ipotesi, il presupposto per l’emissione delle note di variazione in diminuzione deve valutarsi non in astratto, ma secondo le circostanze del caso concreto, tenuto conto del. principio comunitario di proporzionalità e dei criterio di diligenza.
In particolare, nel caso in cui la cosa messa all’incanto resti invenduta, si ritiene che il cedente o prestatore abbia la facoltà di emettere note di variazione in diminuzione a seguito della dichiarazione del giudice di estinzione del procedimento ai sensi dell’art. 540-bis c.p.c. 1.
Si è del parere, poi, che nell’ipotesi del pignoramento presso terzi, quando sulla dichiarazione sorgono contestazioni, sia corretto variare in diminuzione l’imponibile e l’imposta solo successivamente alla loro risoluzione con ordinanza da parte del giudice, “compiuti i necessari accertamenti” ai sensi dell’art. 549 c.p.c, come modificato dall’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (cosiddetta legge di stabilità 2013).
Per completezza, infine, si osserva che con sentenza del 15 maggio 2014, causa C-337/2013, la corte di Giustizia ha recentemente affermato che “Le disposizioni dì cui all’articolo 90 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema, comune d’imposta sul valore aggiunto, devono essere interpretate nel senso che esse non ostano a una norma nazionale che non preveda la riduzione della base imponibile dell’imposta sul valore aggiunto in caso di mancato pagamento del prezzo qualora venga applicata la deroga prevista al paragrafo 2 di detto articolo. Tuttavia, tale disposizione deve allora contemplare tutte le altre situazioni in cui, in forza del paragrafo 1 di detto articolo, successivamente alla conclusione di un ‘operazione, una parte o la totalità del corrispettivo non viene percepita dal soggetto d’imposta, cosa che spetta al giudice nazionale verificare'”.
In altri termini, la Corte di Giustizia nel ribadire la facoltà degli Stati membri di non consentire la riduzione della base imponibile in caso di mancato pagamento del prezzo o di porre limiti a tale riduzione, ha affermato il principio secondo cui la disciplina interna deve comunque contemplare tutte le altre situazioni, quali risoluzioni, annullamenti, ecc., in cui, dopo la conclusione di un’operazione, il corrispettivo non sia percepito, in tutto o in parte, dal soggetto passivo.
L’art. 26, secondo comma, del DPR n. 633 del 1972, infatti, tra le ipotesi che consentono al cedente o prestatore del servizio di variare in diminuzione l’imponibile o l’imposta, individua anche la “risoluzione”, senza distinguere tra risoluzione giudiziale o di diritto.
Si precisa, quindi, che il verificarsi della condizione contemplata da una causa risolutiva espressa apposta al contratto, quale il mancato pagamento (art. 1456 c.c.) o l’inutile decorso dei congruo termine intimato per iscritto alla parte inadempiente (art. 1454 c.c.) possono costituire il presupposto legittimante l’attivazione della procedura in esame (Cassazione 17 giugno 1996, n. 5568, Cassazione 8 novembre 2002, n. 15696, risoluzione, 16 dicembre 1975, prot. 502289, risoluzione 31 marzo 2009, n. 85/E).
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Note:
1. Art. 540-bis c.p.c. “Quando le cose pignorate risultano invendute a seguito del secondo o successivo esperimento ovvero quando la somma assegnata, ai sensi degli articoli 510, 541 e 542, non è sufficiente a soddisfare le ragioni dei creditori, il giudice, ad istanza di uno di questi, provvede a norma dell’ultimo comma dell’articolo 518. Se sono pignorate nuove cose, il giudice ne dispone la vendita senza che vi sia necessità di nuova istanza. In caso contrario, dichiara l’estinzione del procedimento, salvo che non siano da completare le operazioni di vendita”.

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