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C.M. 19/E/2015

TRANSAZIONE FISCALE – 
C.M. 19/E/2015

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La transazione fiscale è l’accordo disciplinato dall’art. 182 ter Legge Fallimentare con il quale il contribuente e l’Erario, nell’ambito delle procedure di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione dei debiti, operano il consolidamento del debito fiscale, attraverso la quantificazione della posizione debitoria, e l’estinzione delle liti aventi ad oggetto i tributi ricompresi nell’istanza di transazione.

L’Agenzia delle Entrate, con la C.M. 6 maggio 2015, 19/E a distanza di sei anni dall’ultimo documento di prassi, è tornata a pronunciarsi su alcune annose e dibattute questioni quali la natura dell’istituto, la non impugnabilità dell’assenso o del diniego alla proposta di transazione fiscale, il principio di indisponibilità della pretesa tributaria, il trattamento del credito Iva e sulle fattispecie penali.

La C.M. 19/E/2015 si sofferma su alcune dibattute questioni concernenti la transazione fiscale, alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale intervenuta medio tempore. Gli arresti giurisprudenziali su cui si concentra la circolare sono principalmente le sentenze gemelle nn. 22931-22932 del 4 novembre 2011 della Cassazione (che hanno riconosciuto la possibilità di procedere alla falcidia dei crediti tributari nel concordato preventivo anche in assenza di transazione fiscale superando la contraria interpretazione di cui alla C.M. 40/E/2008) nonché la sentenza n. 225 del 25 luglio 2014 della Corte Costituzionale.

Transazione fiscale

Natura

La transazione fiscale è assimilabile all’ordinaria transazione di natura civilistica intesa come il contratto con cui le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già cominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro (art. 1965, c. c.); rispetto ad essa, però, se ne differenzia perché

  • la transazione fiscale non ha quale presupposto necessario l’esistenza, seppur potenziale, di una lite,
  • lo scopo della transazione fiscale non è quindi prevenire o dirimere una lite, ma operare piuttosto una falcidia o una dilazione dei debiti tributari in funzione della realizzazione di un piano concordatario e di un accordo di ristrutturazione dei debiti.

L’Agenzia delle Entrate, nell’arresto in commento, ha evidenziato come la Corte Costituzionale abbia confermato l’orientamento già espresso nella C.M. 40/E/2008 secondo cui l’istituto della transazione, tipico del diritto civile, «appare del tutto innovativo nell’ordinamento tributario, dove è tradizionalmente vigente il principio di indisponibilità del credito tributario» e, conseguentemente, «la relativa disciplina normativa, in quanto derogatoria di regole generali, è di stretta interpretazione».

La transazione fiscale costituisce una peculiare procedura transattiva tra il contribuente ed il fisco che può autonomamente integrare il piano di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti (di seguito «accordi») e deve essere parimenti sottoposta al sindacato di fattibilità giuridica del Tribunale. Pur trattandosi di una procedura autonoma rispetto a tali istituti, essa si inserisce comunque nell’ambito di essi: si tratta di «un sub procedimento» rispetto «all’ordinario procedimento concordatario». La collocazione della transazione fiscale nell’ambito della disciplina del concordato preventivo e degli «accordi» conferma che, in ordine ai requisiti soggettivi richiesti per la presentazione della proposta di transazione, è comunque necessaria la preliminare verifica dei presupposti stabiliti per l’accesso a tali procedure. La C.M. 19/E/2015 prende atto dell’interpretazione della giurisprudenza e conferma la facoltatività della procedura.

La presentazione della domanda, per l’effetto, ha come scopo principale quello di consentire all’Agenzia delle Entrate di porre in essere le verifiche previste al fine di valutale la proposta transattiva e conseguentemente di esprimere l’adesione od il diniego ad essa.

Facoltatività

L’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto che la transazione fiscale è facoltativa e non costituisce un obbligo per il debitore che chiede la falcidia o la dilazione dei debiti tributari. Si tratta di un revirement rispetto alla precedente interpretazione fondata sull’assunto che, per effetto del principio di indisponibilità del credito tributario, non si sarebbe potuti pervenire ad una soddisfazione parziale dello stesso al di fuori della specifica disciplina di cui all’art. 182 ter, L.F. essendo, quest’ultima derogatoria di regole generali e, pertanto, non suscettibile di interpretazione analogica o estensiva. La giurisprudenza, ha negato l’obbligatorietà della transazione fiscale perché si sarebbe tradotta nella sostanziale attribuzione all’Erario di un diritto di veto, che avrebbe reso assai più difficile l’accesso al concordato in quanto il debitore, infatti, sarebbe tenuto ad accettare in toto le pretese fiscali per poter accedere alla transazione. Il contribuente viceversa può presentare la domanda di transazione fiscale purchè vengano osservati i principi generali della procedura, ossia la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicata nella relazione giurata di un professionista e purchè non venga alterato l’ordine delle cause legittime di prelazione.

Effetti

La giurisprudenza di legittimità, come conferma la C.M. 19/E/2015, ha distinto quali siano gli effetti sotto il profilo sostanziale che conseguono dall’avvalersi o meno della transazione fiscale da parte del contribuente per la falcidia o dilazione dei debiti tributari. La transazione fiscale, infatti, comporta

  • il consolidamento del debito tributario, inteso come «quadro di insieme» di detto debito «tale da consentire di valutare la congruità della proposta con riferimento alle risorse necessarie a far fronte al complesso dei debiti»,
  • l’estinzione dei giudizi in corso.

Tali effetti non si verificano in alcun caso per gli altri creditori e neppure nei confronti del Fisco qualora si propendesse per un concordato o per «accordi» senza transazione fiscale. Nella C.M. 19/E/2015, viceversa, non viene presa posizione circa gli effetti del «consolidamento» del debito tributario a seguito della transazione fiscale e, in particolare, se essa abbia efficacia limitata alla sola procedura omologata ovvero se, all’opposto, precluda del tutto l’esercizio da parte dell’Agenzia delle Entrate di una successiva attività di accertamento tributario. La C.M., peraltro, qualificando tale consolidamento come mera rappresentazione del «quadro di insieme», sembrerebbe (implicitamente) confermare la propria interpretazione secondo cui non conseguirebbe alcun effetto preclusivo all’ulteriore attività di accertamento: l’Agenzia delle Entrate, pertanto, potrebbe sempre esercitare, ricorrendone le condizioni, i propri poteri di controllo con la conseguente determinazione di un debito tributario superiore, rispetto a quello attestato nella certificazione rilasciata al debitore o altrimenti individuato al termine della transazione fiscale, che potrà essere contestato nei confronti dello stesso contribuente che ha ottenuto l’omologazione. L’Agenzia delle Entrate non sarebbe, per l’effetto, tenuta ad avviare verifiche fiscali né a porre in essere quelle attività istruttorie e di indagine ad esse connesse, nel breve termine per la conclusione della transazione, potendovi procedere successivamente sulla base di elementi sopravvenuti. Secondo una parte della dottrina, viceversa, la ratio dell’istituto è quella di consentire la definizione delle pretese erariali e, conseguentemente, di addivenire alla definitiva quantificazione dei debiti fiscali al fine di favorire l’esito positivo della procedura concordataria. In coerenza con tale finalità, pertanto, occorrerebbe interpretare la locuzione «consolidamento del debito fiscale» nel senso di precludere all’Agenzia delle entrate la possibilità di rettificare in aumento l’ammontare dei crediti erariali, una volta condivisi i termini della proposta di transazione fiscale e, in particolare, l’ammontare del credito erariale ivi rappresentato. Altra dottrina, viceversa, interpreta tale locuzione in maniera strettamente collegata al testo letterale del co. 2 dell’art. 182 ter, L.F. riferendo gli effetti del consolidamento ai soli controlli automatici, ovvero ai controlli formali e liquidazione delle imposte (artt. 36-bis e 36-ter, D.P.R. 600/1973 e art. 54-bis, D.P.R. 633/1972): il «consolidamento», pertanto, atterrebbe unicamente all’esatta «fotografia» del debito erariale. A fronte delle diverse interpretazioni, l’evidente incentivo all’istituto (che deriverebbe dalla preclusione riguardo ai debiti ancora in corso di accertamento e teoricamente suscettibili di essere opposti al debitore dopo la chiusura della procedura), impone e rende necessario un chiarimento ufficiale sul tema.

Impugnabilità del diniego

La C.M. 19/E/2015 si esprime in maniera negativa in ordine alla discussa questione circa l’impugnabilità o meno del diniego della transazione fiscale. L’Agenzia delle Entrate, tenendo conto della natura endoprocedimentale dell’istituto, così come definito dalla Corte Costituzionale, ha escluso l’impugnabilità dell’eventuale diniego dinnanzi il giudice tributario in quanto atto interno della procedura espresso mediante voto comunicato in sede di adunanza. Gli interessi del debitore così come quelli degli altri creditori, possono, infatti, trovare piena tutela attraverso i rimedi giurisdizionali previsti dalla L.F.: già nell’udienza di approvazione del concordato preventivo, è possibile proporre eventuali opposizioni all’omologa del concordato stesso incluse eccezioni aventi ad oggetto la legittimità del voto espresso dall’Erario. Inoltre, nell’ipotesi in cui non si dovesse raggiungere la maggioranza richiesta per l’approvazione del concordato ed intervenisse la successiva dichiarazione di fallimento, il debitore e gli altri creditori potrebbero tutelare la propria posizione mediante la proposizione del reclamo di cui all’art. 18 L.F. L’interpretazione ministeriale non è certamente esente da critiche anche considerato il diverso orientamento della giurisprudenza di merito che si è espressa sull’impugnabilità del diniego di transazione fiscale sia sulla giurisdizione delle Commissioni tributarie in merito: «in tema di diniego alla transazione fiscale nessuna opposizione può essere sollevata circa il diritto del contribuente ad impugnare tale provvedimento, specialmente se questo ha impedito il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione del debito facendo conseguentemente aprire la procedura fallimentare con i relativi pesanti risvolti economici e morali per il fallito» (CTP Milano, sentenza 1541/25/14 del 14 febbraio 2014).

Trattamento del credito Iva

L’ulteriore questione affrontata dalla prassi ministeriale è quella relativa al trattamento del credito Iva nell’ambito della transazione fiscale. La C.M. 19/E/2015 ribadisce l’interpretazione, già espressa nei precedenti documenti di prassi e confermata dalla giurisprudenza, secondo cui con riguardo all’Iva la proposta di transazione fiscale può concernere esclusivamente il pagamento dilazionato non essendo ammessa alcuna falcidia di tale imposta (salvo che per gli accessori). Tale interpretazione è oggi confermata dal tenore letterale dell’art. 182 ter, co. 1, L.F. il quale, a seguito della modifica operata dall’art. 32, co. 5 lett. a), D.L. 185/2008, prevede espressamente che «con riguardo all’imposta sul valore aggiunto, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento». Tale principio, secondo la C.M. 19/E/2015, opera peraltro anche nel caso in cui il debitore abbia presentato una proposta di concordato preventivo senza transazione fiscale: nonostante manchi al di fuori dell’art. 182 ter, co. 1, L.F. un esplicito divieto legislativo in tal senso, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che il credito Iva è comunque intangibile passibile esclusivamente di dilazione ma non di falcidia. Tale conclusione trae fondamento dagli arresti giurisprudenziali della Cassazione e della Corte Costituzionale secondo cui, rispettivamente,

  • «la disposizione che sostanzialmente esclude il credito Iva da quelli che possono formare oggetto di transazione, quanto meno in ordine all’ammontare del pagamento, è una disposizione eccezionale che, come si è osservato, attribuisce al credito in questione un trattamento peculiare ed inderogabile … non si tratta di una norma processuale come tale connessa allo specifico procedimento di transazione fiscale ma di norma sostanziale in quanto attiene al trattamento dei crediti nell’ambito dell’esecuzione concorsuale dettata da motivazione che attengono alla peculiarità del credito e prescindono dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi»;
  • «la previsione legislativa della sola modalità dilatoria in riferimento alla transazione fiscale avente ad oggetto il credito Iva deve essere intesa come il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo» poiché il credito Iva «non è riconducibile a nessuna delle tradizionali categorie di crediti privilegiati e chirografari» e con riferimento ad esso «esiste una disciplina eccezionale attributiva di un trattamento peculiare ed inderogabile … consentendo esclusivamente la transazione dilatoria …».

Fattispecie penali

La C.M. 19/E/2015, inoltre, ricorda che a seguito delle modifiche intervenute l’art. 11, co. 2, L. 74/2000 prevede la punibilità con la reclusione da 6 mesi a 4 anni di chiunque, al fine di ottenere per sé od altri un pagamento parziale dei tributi e dei relativi accessori, abbia esposto nella documentazione presentata ai fini dell’accesso alla transazione fiscale, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore a € 50mila ma non ad € 200mila; nel caso di importi superiori ad € 200mila è prevista la reclusione da 1 a 6 anni.

La prassi ministeriale, poi, ricorda che secondo la giurisprudenza, la proposta di concordato e la sua omologazione

  • laddove siano successivi alla condotta di omesso versamento Iva (che, pertanto, si è già perfezionato) non elidono il reato e la sua punibilità (Cass. Pen. Sez. III, 16 aprile 2015, n. 15853),
  • viceversa qualora l’ammissione al concordato preventivo sia anteriore alla scadenza del termine per il versamento dell’Iva deve essere esclusa la configurabilità del reato qualora l’inosservanza del predetto termine consegua alla previsione nel piano concordatario della dilazione del pagamento del debito (Cass Pen. Sez. III, 23 settembre 2013, n. 39101).

In altre parole, la C.M. 19/E/2015 conferma che qualora l’omesso versamento dell’Iva entro il termine previsto consegua alla omologa del piano concordatario non sorge alcuna responsabilità penale in capo al contribuente.

Procedura

Per quanto concerne la presentazione della proposta di transazione e la relativa procedura fiscale si rinvia alla tabella sotto riportata.

PRESENTAZIONE DELLA PROPOSTA DI TRANSAZIONE

Il debitore predispone la domanda di transazione e la deposita

All’Agenzia Fiscale competente

Al Tribunale contestualmente al piano concordato e procede ordinariamente

All’AdRcon documentazione

Entro 30 gg

Prima di 30 gg

Entro 30 gg

Verifica i requisiti per l’ammissione della proposta e

  • Liquida i tributi da dichiarazione
  • Notifica gli avvisi di irregolarità ed accertamento
  • Rettifica le dichiarazioni

Certifica il debito tributario complessivo e trasmette la certificazione:

  • Al debitore ed in copia all’AE
  • Unitamente agli avvisi di irregolarità, al commissario giudiziale in caso di apertura della procedura di concordato preventivo

Trasmette la certificazione dei debiti iscritti a ruolo o affidati in carico:

  • Al debitore ed in copia all’AE
  • Al commissario giudiziale in caso di apertura della procedura di concordato preventivo

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