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Società consortili a rischio di abuso del diritto

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Secondo la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 12191/2016, le società consortili possono svolgere attività mista mutualistico-lucrativa con alcune limitazioni.

Tale conclusione è derivata dalla lettura delle disposizioni che regolano i consorzi. Laddove le stesse (nello statuto sociale) prevedono il divieto di distribuire utili, allo stesso tempo ammettono che tali società possono produrre utili (ovvero lucro), derivante dalla differenza positiva tra ricavi-costi. Ma la produzione dell’utile potrebbe derivare da operazioni svolte dal consorzio che non devono essere ribaltate, tal quali, in termini di costi e ricavi, in capo ai consorziati. Tale autonoma attività commerciale, sarebbe, quindi, indipendente dallo scopo mutualistico ed in genere dai rapporti intrattenuti con i consorziati (cfr. punto 21 della sentenza).

Secondo la Corte, in ipotesi di svolgimento di attività lucrativa in via principale da parte della società consortile, deve essere ritenuto che l’Amministrazione finanziaria possa innescare il meccanismo di controllo ex art. 10-bis, ma non sembra possibile ritenere che sia legittimata a rettifiche reddituali (ad es. disconoscimento di costi) per il solo svolgimento di un’attività lucrativa prevalente. Discorso diverso riguarda il disconoscimento di agevolazioni fiscali alle società consortili che potrebbe, invece, avvenire per il semplice fatto che la società consortile non svolga in maniera prevalente attività mutualistica.

Sotto il profilo pratico, “la necessaria distinzione tra le operazioni poste in essere dalla società consortile in esecuzione del patto mutualistico, da quelle costituenti esercizio di un’autonoma attività commerciale” postula la tenuta di una contabilità in grado di riflettere tale distinzione, atteso che, secondo la Cassazione, in assenza di dettaglio di costi e ricavi da riaddebitare (quindi riferibili all’attività mutualistica) vi potrebbe essere un occultamento di materia imponibile.

A tale proposito la Cassazione, al punto 27 della sentenza, si sofferma sulla differenzatra quanto fatturato dal consorzio al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato al consorzio. Tale differenza costituisce, da un lato, reddito imponibile per il consorzio e, dall’altro, costo deducibile per il consorziato.

La Suprema Corte distingue due ipotesi da cui deriverebbe il maggior fatturato nei confronti del consorziato:
– riaddebito di spese generali e specifiche secondo i patti consortili (lettere a) e b) punto 27), che devono essere sufficientemente dettagliate e documentate;
– corrispettivo per provvigioni per servizi resi al consorziato e per ulteriori servizi, autonomamente resi dal consorzio, quale soggetto imprenditoriale, al terzo committente ma per l’utilità del lavoro svolto dal consorziato (lettere c) e d) punto 27).

Nella prima sarebbe necessario un dettaglio dei costi riaddebitati e per le spese generali. Per quanto attiene ai servizi prestati dalla società consortile a favore della consorziata, che assumono la qualifica di provvigioni nell’ambito di un mandato senza rappresentanza, ai fini della deducibilità fiscale, dovrebbe rimanere a carico della consorziata la dimostrazione che i suddetti servizi si riferiscono all’attività propria della consorziata da cui derivano ricavi che hanno concorso a formare il reddito (cfr. Cass. n. 10257/2008), ed anche la dimostrazione che la valorizzazione dei suddetti servizi (i.e. la determinazione del prezzo) sia congrua rispetto all’attività svolta dal consorzio.

Analogo ragionamento può essere esteso ai servizi resi dalla società consortile al terzo ma in relazione e per l’utilità dell’attività posta in essere dal consorziato.

Infine appare opportuno evidenziare (benché tale situazione non venga presa in considerazione dalle Sezioni Unite) come il “lucro” della società possa derivare non solo dal lato attivo (differenza tra quanto fatturato dalla società consortile a terzi e quanto fatturato dai consorziati alla società consortile) ma anche dal lato passivo laddove si verifichi un riaddebito di costi ai consorziati eccedenti rispetto a quelli sostenuti dalla società consortile per riflettere, ad esempio, una provvigione dovuta dal consorziato (mandante) alla società consortile (mandatario senza rappresentanza) per le prestazioni ricevute da terzi, la cui base imponibile IVA è data dal prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario-società consortile, aumentato della provvigione dovuta alla società consortile (art. 13 DPR n. 633/1972, comma 1, lett. d).

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