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Fatture inesistenti: quando le fatture si considerano false

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In base alla normativa penale tributaria, per «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo tributario, emessi a fronte di operazioni:

  1. non realmente effettuate in tutto o in parte (oggettivamente inesistenti);
  2. che indicano i corrispettivi o l’Iva in misura superiore a quella reale (sovrafatturazione);
  3. che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi (operazioni soggettivamente inesistenti).

Inesistenza oggettiva

Sono oggettivamente inesistenti le fatture relative ad operazioni in tutto o in parte prive di riscontro nella realtà. Si tratta così di documenti che attestano un fatto, sia esso cessione di beni o prestazione di servizi, mai avvenuto.

L’inesistenza dell’operazione può anche essere parziale, nel qual caso si tratta di sovrafatturazione che può essere di due tipi:

  1. quantitativa, quando il documento attesta un maggior numero, rispetto al reale, di beni ceduti o prestazioni eseguite;
  2. qualitativa, quando la fattura attesta la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti.

Da un punto di vista tributario, il costo è indeducibile e l’Iva indetraibile poiché si tratta di transazioni fittizie per le quali, secondo le ordinarie regole di determinazione del reddito, manca il requisito della certezza.

Le sanzioni applicabili quindi sono legate all’indebita detrazione dell’Iva e all’infedele dichiarazione.

Sul versante penale, la norma (articolo 2, Dlgs 74/00) punisce con la reclusione da 18 mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’Iva indichi in una delle dichiarazioni elementi passivi fittizi documentati da false fatture. Ne consegue che il momento consumativo è la presentazione della dichiarazione. A tal fine oltre a quella annuale (Unico e Iva) dovrebbero rilevare anche le dichiarazioni di operazioni intraUe, redatte a seguito di operazioni straordinarie, eccetera. Dovrebbero, invece, essere esclusi dalla rilevanza penale i documenti che tecnicamente non sono definiti «dichiarazioni», stante l’impossibilità di un’estensione analogica della norma incriminatrice, come ad esempio la comunicazione annuale Iva, la comunicazione delle operazioni intercorse con soggetti aventi sede in paradisi fiscali, le dichiarazioni di intento degli esportatori abituali, le quali, pur potendole qualificare “dichiarazioni”, non contengono l’indicazione di elementi passivi, ma solo la volontà di acquistare in sospensione di imposta.

Inesistenza soggettiva

Sono soggettivamente inesistenti le fatture riferite ad operazioni realmente avvenute, ma tra soggetti differenti rispetto a chi compare nel documento. Spesso tale contestazione è mossa dall’amministrazione nelle ipotesi in cui il cedente o il prestatore non hanno una struttura idonea per effettuare l’operazione fatturata o ancora quando a seguito di alcune operazioni scompaiono e/o non adempiono ai principali obblighi fiscali.

Il fisco in genere contesta l’indebita detrazione dell’Iva, poiché il relativo costo rimane comunque deducibile (purchè realmente sostenuto) se inerente all’attività di impresa. Sotto il profilo penale, invece, non rileva se si tratti di fatture soggettivamente o oggettivamente inesistenti, poiché la pena rimane in ogni caso la reclusione da 18 mesi a sei anni e solo se tali documenti sono indicati e quindi usati nelle dichiarazioni presentate.

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