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Il rimborso del car sharing non è reddito per il dipendente

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Le spese rimborsate ai dipendenti per il servizio di car sharing all’interno del territorio comunale in cui è situata la sede di lavoro non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente.

Lo ha precisato l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione 83/E/2016.

Si ricorda, come precisato nel nostro precedente articolo “rimborsi chilometrici” che in linea generale per il dipendente, collaboratore a progetto o amministratore non professionista, l’indennità corrisposta per trasferte effettuate nel comune sede di lavoro concorre sempre a formare reddito ai fini IRPEF ed è soggetta a contribuzione previdenziale.

Per l’azienda i rimborsi chilometrici in esame sono sempre deducibili.

Il rimborso proveniente da vettore

Sono esclusi dal reddito di lavoro dipendente i rimborsi delle spese sostenute nell’ambito del comune ove ha sede la società/datore di lavoro quando riguardano il trasporto comprovato da documenti emessi dal vettore.

Rientrano in tale ambito i trasporti in metropolitana, autobus e taxi.

Rientra anche il Car Sharing?

Secondo l’Agenzia delle Entrate, risoluzione 83/E/2016, giacché le informazioni della fattura emessa dalla società di gestione del servizio di car sharing, individua il destinatario della prestazione, il percorso effettuato (con indicazione del luogo di ritiro e di consegna dell’auto), la distanza percorsa, la durata e l’importo dovuto, tale servizio può essere equiparato ad una spesa di trasporto comprovata dalla documentazione emessa dal vettore il cui rimborso deve essere escluso dal reddito di lavoro del dipendente che ha fruito del servizio stesso.

Utilizzo incrociato

Alle stesse conclusioni si perviene anche nell’ipotesi in cui l’intestataria della fattura emessa dalla società di car sharing è la società/datore di lavoro e l’utilizzatore del servizio è il lavoratore (cd. “utilizzo incrociato”).

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