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Falso valutativo: conferma delle Sezioni Unite

“Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di ‘valutazione’, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni”.

E’ del 2016 la sentenza della Cassazione a sezioni Unite (22474/2016), che ha risolto il contrasto sorto tra le sezioni semplici della Corte Suprema circa la punibilità o meno dell’erronea valutazione di bilancio, in seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 69 del 2015.

Al giudice la valutazione della informazione falsa contenuta nel bilancio

Eliminato quindi ogni riferimento a soglie percentuali di rilevanza (chiaro indice di un criterio valutativo agganciato al dato quantitativo), la nuova normativa affida al giudice la valutazione – in concreto – della incidenza della falsa appostazione o della arbitraria preterizione della stessa; dovrà dunque il giudice operare una valutazione di causalità ex ante, vale a dire che dovrà valutare la potenzialità decettiva della informazione falsa contenuta nel bilancio e, in ultima analisi, dovrà esprimere un giudizio prognostico sulla idoneità degli artifizi e raggiri contenuti nel predetto documento contabile, nell’ottica di una potenziale induzione in errore in incertam personam. Tale rilevanza, proprio perché non più ancorata a soglie numeriche predeterminate, ma apprezzata dal giudicante in relazione alle scelte che i destinatari dell’informazione (soci, creditori, potenziali investitori) potrebbero effettuare, connota la falsità di cui agli artt. 2621, 2621 bis 2622 cod. civ..

Informativi essenziali, idonei a ingannare e a determinare scelte potenzialmente pregiudizievoli per i destinatari

Essa, dunque, deve riguardare dati informativi essenziali, idonei a ingannare e a determinare scelte potenzialmente pregiudizievoli per i destinatari. Ed è ovvio, in base a ciò che si è premesso, che tale potenzialità ingannatoria ben può derivare, oltre che dalla esposizione in bilancio di un bene inesistente o dalla omissione di un bene esistente, dalla falsa valutazione di un bene che pure è presente nel patrimonio sociale. L’alterazione di tali dati, per altro, non deve necessariamente incidere solo sul versante quantitativo, ben potendo anche il c.d. “falso qualitativo” avere una attitudine ingannatoria e una efficacia fuorviante nei confronti del lettore del bilancio.

Invero, la impropria appostazione di dati veri, l’impropria giustificazione causale di “voci”, pur reali ed esistenti, ben possono avere effetto decettivo (ad esempio: mostrando una situazione di liquidità fittizia) e quindi incidere negativamente su quel bene della trasparenza societaria, che si è visto costituire il fondamento della tutela penalistica del bilancio.

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