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Contratto a tutele crescenti: in vigore le nuove regole per licenziamenti

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Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2015 il Decreto Legislativo 4 marzo 2015 n.23: recante: «Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183». Il provvedimento è entrato in vigore il 07/03/2015

Il decreto delegato, che si compone di 12 articoli, in attuazione dell’articolo 1, comma 7, lettera c), della legge 10 dicembre 2014, n. 183, dispone misure volte a favorire l’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato che, per i lavoratori assunti dopo l’entrata in vigore, saranno assistiti da tutele crescenti in funzione della durata del rapporto intercorso tra le parti.

In pratica, dal 7 marzo 2015, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo di operai, impiegati o quadri assunti con contratto a tempo indeterminato è disciplinato dal Decreto Legislativo 4 marzo 2015 n. 23. Stesso discorso vale per casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a termine o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato. Nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del decreto delegato, integri il requisito occupazionale di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della L. n. 300/1970, il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente al 7 marzo 2015, è disciplinato dalle nuove tutele.

Le nuove regole:

Campo di applicazione

L’articolo 1, al comma 1, contiene disposizioni finalizzate all’individuazione del campo di applicazione del decreto in esame. Si specifica che il regime di tutela previsto dal Decreto Legislativo 4 marzo 2015 n. 23 si applica ai licenziamenti intimati, nei confronti di lavoratori a tempo indeterminato che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, con riferimento alle nuove assunzioni, effettuate a decorrere dal 7 marzo 2015 data di entrata in vigore del decreto in esame.

Nel comma 2, si precisa che le disposizioni del decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a termine o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

Il comma 3 precisa inoltre, che nel caso in cui il datore di lavoro accresca la propria dimensione occupazionale fino a integrare il requisito dimensionale di cui all’art. 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, esso dovrà applicare le nuove tutele introdotte con il presente decreto a tutti i dipendenti occupati, indipendentemente dalla data di loro assunzione.

Si superano i limiti minimi dimensionali – ai sensi dell’ottavo e del nono comma dell’art. 18 della L. n. 300 del 1970, – qualora il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale abbia avuto luogo il licenziamento occupi alle sue dipendenze più di quindici lavoratori (o più di cinque se si tratti di imprenditore agricolo), o qualora il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, nell’ambito dello stesso comune, occupi più di quindici dipendenti (o più di cinque dipendenti nel caso di impresa agricola) – anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunga tali limiti -, nonché, in ogni caso, qualora il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, occupi più di sessanta dipendenti. Ai fini di tali computi, si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore; non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta ed in linea collaterale.

Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale

L’articolo 2, in conformità ai principii di delega, disciplina i licenziamenti nulli. In particolare detta disposizioni in materia di licenziamento discriminatorio, nullo ed intimato in forma orale.

Il comma 1 prevede che il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio a norma dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, oppure perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratori nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro di cui al comma 3. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.

Il comma 2 prevede che il giudice, con la pronuncia di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l’inefficacia, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.

Il comma 3, oltre al diritto al risarcimento del danno di cui al comma 2, attribuisce al lavoratore la facoltà di chiedere al datore di lavoro, un’indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro, pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. La richiesta da parte del lavoratore dell’indennità sostitutiva, che non è assoggettata a contribuzione previdenziale, determina la risoluzione del rapporto di lavoro. La richiesta deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione. La disciplina dell’articolo in esame trova applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, recante: «Norme per il diritto al lavoro dei disabili» (comma 4).

Licenziamento per giustificato motivo e giusta causa

L’articolo 3 disciplina il licenziamento per giustificato motivo e giusta causa.

Il comma 1 dell’articolo in esame disciplina le tutele in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, di licenziamento per giustificato motivo soggettivo e di licenziamento per giusta causa. Nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.

Il comma 2 prevede che, con esclusivo riferimento alle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, il giudice, con sentenza costitutiva, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lett. c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181. L’accertamento giudiziale non può riguardare l’eventuale sproporzione della sanzione del licenziamento rispetto al fatto contestato al lavoratore. Si tratta di un principio cardine del sistema introdotto dal decreto, il cui fine è di rafforzare la certezza del diritto e, conseguentemente, la prevedibilità dell’esito del giudizio.

Comunque, la misura dell’indennità risarcitoria relativa al periodo precedente la pronuncia giudiziale di reintegrazione non può essere superiore a 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Nelle medesime ipotesi, il giudice condanna, inoltre, il datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno dei licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva. Al lavoratore è attribuita la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, una indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

Infine, il comma 3 stabilisce che al licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 1 del presente decreto non si applica l’articolo 7 della legge n. 604 del 1966, che disciplina la procedura obbligatoria di conciliazione volta all’esame congiunto dei motivi posti a base del recesso e finalizzata al raggiungimento di un eventuale accordo tra le parti.

Vizi formali e procedurali

L’articolo 4, disciplina il licenziamento affetto da vizi formali e procedurali. Si prevede che qualora il licenziamento sia intimato senza l’indicazione dei motivi o senza l’esperimento della procedura obbligatoria di conciliazione di cui all’articolo 7 della legge n. 300 del 1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio. L’indennità non può comunque essere inferiore a 2 e superiore a 12 mensilità. Nel caso in cui il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle tutele di cui agli articoli 2 e 3 del presente decreto, si applicano questi ultimi due articoli.

Revoca del licenziamento

L’articolo 5, contiene disposizioni in materia di revoca del licenziamento. Si prevede che in caso di revoca dei licenziamenti disciplinati dal presente decreto, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del licenziamento, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente decreto.

Offerta di conciliazione

L’articolo 6 introduce uno strumento innovativo di risoluzione stragiudiziale delle controversie sul licenziamento.

Il comma 1 prevede che in caso di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 1, al fine di evitare il giudizio, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi “protette” di cui all’articolo 2113, comma 4, cod. civ., e all’articolo 76 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, una indennità di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a 18 mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. Si precisa che le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario. Ciò comporta che le parti possono risolvere unitariamente tutte le possibili controversie relative al rapporto di lavoro, fermo restando che l’esenzione fiscale è limitata esclusivamente a quanto dovuto in base al meccanismo di calcolo dell’indennità per il licenziamento in funzione dell’anzianità aziendale previsto dal decreto in esame, mentre ogni eventuale ulteriore somma corrisposta dal datore di lavoro al lavoratore in sede conciliativa resta soggetta alle regole generali in materia fiscale.

Questa specifica modalità di conciliazione è incentivata attraverso la totale esenzione fiscale, oltre che contributiva, della indennità prevista, resa possibile dalla predeterminazione per legge del criterio di calcolo dell’importo, vincolato al parametro oggettivo dell’anzianità di servizio e, quindi, sottratto alla disponibilità delle parti.

Il comma 3 prevede che il monitoraggio sull’attuazione della presente disposizione è assicurato dal sistema permanente di monitoraggio e valutazione istituito ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 28 giugno 2012, n. 92. Ai fini di rendere efficace il monitoraggio dell’istituto dell’offerta di conciliazione si è altresì prevista una particolare articolazione della comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto, che si compone di due fasi, una immediatamente successiva alla cessazione e una seconda a consuntivo dell’avvenuta o meno conciliazione. Quest’ultima, che deve essere effettuata da parte del datore di lavoro entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, deve indicare l’avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione di cui al comma 1.

Computo dell’anzianità negli appalti

L’articolo 7 disciplina il computo dell’anzianità di servizio nel caso in cui un lavoratore passi alle dipendenze dell’impresa che subentra in un appalto.

Nello specifico, il comma 1 prevede che il calcolo delle indennità di cui all’articolo 3, comma 1, concernente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, all’articolo 4, relativo al licenziamento intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all’ articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966 o della procedura di cui all’articolo 7 della legge n. 300 del 1970, e dell’importo dell’offerta di conciliazione di cui all’articolo 6, l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell’impresa subentrante nell’appalto si computa tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’appalto, anche alle dipendenze dell’ impresa uscente.

Computo e misura delle indennità per frazioni di anno

L’articolo 8 chiarisce che le indennità e l’importo dell’offerta di conciliazione crescono ogni mese senza discontinuità, computandosi anche le frazioni mensili di anzianità di servizio maturata. In particolare, al comma 1, si prevede infatti che le indennità debbano essere riproporzionate e che le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni siano computate come mese intero. Le indennità suindicate sono:

  • quella di cui all’articolo 3, comma 1, pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo dei trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità, che il giudice pone a carico del datore di lavoro dalla data del licenziamento, qualora dichiari estinto il rapporto di lavoro avendo accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggetto, o per giustifìcato motivo soggettivo o giusta causa;
  • quella di cui all’articolo 4, pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, comunque non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità, che il giudice pone a carico del datore di lavoro dalla data del licenziamento, qualora dichiari estinto il rapporto di lavoro per le ipotesi di licenziamento intimato per violazione del requisito di motivazione o della procedura prevista dall’articolo 7, della legge n. 300 del 1970 per l’applicazione di sanzioni disciplinari;
  • l’importo di cui all’articolo 6, comma 1, relativo all’offerta di conciliazione, pari a 1 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio e comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità.

Piccole imprese e organizzazioni di tendenza

L’articolo 9 contiene disposizioni in materia di piccole imprese e di organizzazioni c.d. di tendenza.

Il comma 1 prevede che, per i datori di lavoro che non integrano i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970 non si applica l’articolo 3, comma 2, del presente decreto e gli importi delle indennità previste dall’articolo 3, comma 1 e dall’articolo 4, comma 1 e l’importo di cui all’articolo 6, comma 1, sono dimezzati, e non possono superare il limite di 6 mensilità.

Ciò implica che, nell’ambito di tali imprese, la tutela reintegratoria è prevista esclusivamente per i casi di licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale di cui all’art. 2, comma 1, e, dunque, non si applica neppure nelle specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare illegittimo di cui all’art. 3, comma 2, e che le indennità crescenti previste in caso di licenziamenti illegittimi o l’importo crescente dell’offerta di conciliazione sono dimezzati, anche con riguardo alla tutela minima di partenza, e comunque non possono eccedere il limite massimo di 6 mensilità.

Il comma 2 prevede che ai datori di lavoro non imprenditori (sindacati e partiti politici), che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, si applica la disciplina del decreto in esame nel suo complesso. La disposizione è volta a universalizzare le tutele contro i licenziamenti illegittimi, indipendentemente dalla qualità del datore di lavoro.

Licenziamento collettivo

L’articolo 10 disciplina i licenziamenti collettivi.

Il comma 1 prevede che in caso di licenziamento collettivo per riduzione di personale, ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, qualora i licenziamenti siano intimati senza l’osservanza della forma scritta, si applicano le tutele di cui all’articolo 2 del decreto in esame. Nel caso in cui, invece, sia violata la procedura richiamata dall’articolo 4, comma 12, della legge n. 223 del 1991 oppure siano violati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, previsti dall’articolo 5, comma 1 della medesima legge n. 223, trova applicazione il regime di cui all’articolo 3, comma 1, del decreto ovvero il regime del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa.

Rito applicabile

L’articolo 11 dispone che ai licenziamenti disciplinati dal presente decreto non si applicano le disposizioni di cui ai commi da 48 a 68 dell’articolo 1, della legge n. 92 del 2012, relativi al rito speciale applicabile alle controversie aventi a oggetto l’impugnativa dei licenziamenti di cui alle ipotesi previste dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nonché alle questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro. La mancata applicazione del rito di cui ai commi da 48 a 68 dell’ articolo 1, della legge n. 92 del 2012 si giustifica in ragione del fatto che tale rito è stato introdotto specificamente per la trattazione delle controversie in cui trova applicazione l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il quale detta una disciplina ampiamente superata dal presente testo di legge, che inverte il rapporto tra sanzione reintegratoria e sanzione economica.

Entrata in vigore

L’articolo 12 stabilisce che il decreto entra in vigore a decorrere dal 7 marzo 2015 giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

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