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Omesso versamento IVA: la soglia di punibilità sarà innalzata a 150 mila €

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La legge delega per la riforma del sistema fiscale (la n. 23 del 2014) ha affidato al Governo la revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, prevedendo la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie di reato meno gravi (perché caratterizzate da minore insidiosità in quanto prive dell’elemento della frode) o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto conto di adeguate soglie di punibilità.

Nell’attuazione della delega, il Governo ha (o meglio “avrebbe”, visto il congelamento del decreto da parte del Premier Renzi) pensato di non abolire il reato per il mancato versamento dell’Iva ma di innalzarne la soglia da 50 mila a 150 mila euro. Si tratta di una decisione molto importante, che dovrebbe dare respiro ai contribuenti specie in un momento di crisi come quello attuale, anche in virtù della posizione restrittiva della giurisprudenza in merito al superamento della soglia di punibilità: infatti il reato di omesso versamento IVA sussiste anche quando, in seguito a rateazione, il debito fiscale risulti inferiore alla soglia di punibilità prevista dalla norma.

La Corte di Cassazione, con sentenza 4 giugno 2013, n. 24185, ha affermato che “la circostanza che, dopo l’accertamento, si sia addivenuti alla rateizzazione del debito non ne modifica l’entità”. Nel caso di specie l’indagato, successivamente alla notifica dell’avviso di accertamento, aveva chiesto la rateizzazione del debito, di importo superiore a 50.000 euro, e aveva provveduto al pagamento limitatamente alla prima e alla seconda rata, con ciò riconducendo il debito residuo al di sotto della soglia di punibilità. I giudici di legittimità hanno, pertanto, osservato che “essendosi in presenza di mera rateizzazione del debito, non vi sono elementi per ritenere che l’importo dell’imposta evasa sia disceso al di sotto della soglia di punibilità”. La sentenza in commento si allinea all’orientamento della precedente giurisprudenza di legittimità, che ha sottolineato l’irrilevanza nel processo penale tributario di eventuali rateizzazioni del pagamento dell’imposta o dell’eventuale pagamento tardivo della stessa, stante la diversa operatività sul piano sanzionatorio del sistema penale tributario rispetto a quello fiscale vero e proprio. Va infine precisato – come rilevato anche dalla giurisprudenza di legittimità – che l’articolo 13 del D.Lgs. n. 74 del 2000 “attribuisce al pagamento dell’imposta il valore di una circostanza attenuante e non di una causa di estinzione del reato tributario” (cfr. Cass. n. 11836 del 2013).

La struttura del reato

Secondo l’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, inserito con il D.L. 4 luglio del 2006, art. 35, comma 7, convertito con modificazioni nella L. 4 agosto del 2006, la sanzione prevista dall’art. 10 bis per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate si applica anche a chiunque non versi l’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.

Ai fini dell’integrazione del reato de quo non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alla scadenze previste, ma occorre che l’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento (fissato dalla L. n. 405 del 1990, art. 6, comma 2, al 27 dicembre). Di conseguenza per il momento consumativo del reato, come ribadito da ultimo dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 37424 dello scorso 12 settembre (che sul punto hanno aderito alla tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 28/E del 4 agosto 2006, tra l’altro citata dalla sentenza quale intervento chiarificatore atto ad escludere l’esimente dell’obiettiva incertezza normativa di cui all’art. 15 del D.Lgs. n. 74 del 2000) occorre che “l’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento”.

Principi elaborati dalla giurisprudenza

A causa della crisi finanziaria degli ultimi anni nelle aule di tribunale sono aumentate a dismisura le imputazioni per i reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74 del 2000 (omesso versamento di ritenute certificate ed omesso versamento dell’Iva). Numerose sono state le pronunce sul punto, sia di merito che di legittimità.

Questi i principi ricavabili dai più recenti arresti della Cassazione:

• ogni qualvolta il sostituto d’imposta effettua erogazioni a favore dei collaboratori insorge a suo carico l’obbligo di accantonare le somme dovute all’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria (ciò vale a maggior ragione in tema di Iva dove il debitore d’imposta, in virtù del meccanismo della rivalsa, quasi mai si trova ad anticipare somme all’Erario);

• lo stato di dissesto dell’imprenditore – il quale prosegua ciononostante nell’attività d’impresa senza adempiere all’obbligo previdenziale e neppure a quello retribuivo – non elimina il carattere di illiceità penale dell’omesso versamento dei contributi. Infatti i contributi non costituiscono parte integrante del salario ma un tributo, in quanto tale da pagare comunque ed in ogni caso, indipendentemente dalle vicende finanziarie dell’azienda. Ciò trova la sua ‘ratio’ nelle finalità, costituzionalmente garantite, cui risultano preordinati i versamenti contributivi e anzitutto la necessità che siano assicurati i benefici assistenziali e previdenziali a favore dei lavoratori (cfr. Cass. n. 37528 del 13 settembre 2013: considerazioni analoghe valgono anche per il reato di omesso versamento dell’Iva);

• stessa posizione rigorosa la giurisprudenza ha assunto nei confronti del reato di omesso versamento Iva; le Sezioni Unite penali (sentenza n. 37424/13), partendo dal presupposto che l’IVA viene (o meglio dovrebbe essere) riscossa una volta emessa la fattura e che sussiste quindi un obbligo di “accantonamento” da parte del contribuente prodromico all’esecuzione del successivo versamento, hanno ritenuto integrato il reato anche in presenza di crisi di liquidità; alla stessa conclusione sembra essere giunta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2614 del 2014: il contribuente, per andare esente da responsabilità penale, potrà invocare la crisi dell’impresa, ma per far ciò dovrà dimostrare che l’omesso versamento non sia dipeso da una sua scelta. Occorrerà dunque dimostrare che la crisi economica e di liquidità dell’impresa sia effettivamente in atto, in maniera specifica e motivata; È tuttavia necessario che, da parte dell’imputato, siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, devono investire “non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia commesso il versamento della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona”, ma anche la prova “che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto (non ultimo, il ricorso al credito bancario)”. In altri termini, secondo la Cassazione, per invocare l’esimente della crisi di liquidità “riconducibile alla forza maggiore”, l’imputato deve dimostrare “che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili” (cfr. Cass. n. 5467 del 2014 e n. 2614 del 2014 e n. 10813 del 2014);

• tra i reati di omesso versamento di ritenute certificate e di omesso versamento di IVA e i corrispondenti illeciti amministrativi intercorre un rapporto non di specialità ma di progressione illecita, che comporta l’applicabilità congiunta delle due sanzioni (Cass. SS. UU. 37424 e 37425 del 2013); sul punto però si attende una pronuncia della Corte di Giustizia chiamata a verificare la compatibilità di un tale trattamento sanzionatorio con i principi comunitari ed in particolare con quello di proporzionalità;

• il reato di omesso versamento di Iva sussiste anche quando, in seguito a rateazione, il debito fiscale risulti inferiore alla soglia di punibilità prevista dalla norma (Cass. sent. n. 24185 del 4 giugno 2013); tale sentenza si allinea alla precedente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. sent. 11836 del 2013) che ha sottolineato l’irrilevanza nel processo penale tributario di eventuali accordi con l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del pagamento dell’imposta o dell’eventuale pagamento tardivo della stessa, stante la diversa operatività sul piano sanzionatorio del sistema penale tributario rispetto a quello fiscale vero e proprio.

Le novità e i possibili effetti sui processi in corso

Lo scorso 24 dicembre il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di decreto attuativo della suindicata legge delega. Tra le materie riviste c’è il reato di omesso versamento di IVA per il quale viene innalzata la soglia di punibilità che da 50.000 euro passa a 150.000 euro: viene quindi meno l’ipotesi recentemente circolata di abrogazione del reato previsto dall’art. 10 ter del D.Lgs. 74 del 2000. L’intervento attua i principi stabiliti dalla delega fiscale, concentrando l’azione penale sulle ipotesi più gravi di frode e, allo stesso tempo, allentando la presa sulle violazioni più strettamente legate alla crisi economica. Si tratta, in particolare, dei reati di omesso versamento di Iva e di ritenute. Oggi il fascicolo in Procura viene aperto, per entrambi i reati, se la somma non versata supera i 50 mila euro. Invece, se il testo esaminato dal Governo (il cui invio alle Commissioni parlamentari competenti per il prescritto parere è stato bloccato) verrà confermato, la soglia per la rilevanza penale del fatto salirà a 150 mila euro. Per le violazioni sotto questo importo si applicherà solo la sanzione amministrativa. Oltre che sulle violazioni future, l’effetto si farà sentire sui procedimenti relativi agli anni scorsi e già al vaglio delle Procure. Questo perché si applica il principio del «favor rei», per cui le disposizioni penali più favorevoli valgono anche per il passato (salva, in base all’art. 2 c.p., l’esistenza di una pronuncia irrevocabile in quanto passata in giudicato: il giudicato, così come gli effetti della condanna, può infatti essere travolto solo nell’ipotesi di “abolitio criminis”), in deroga al principio di irretroattività della norma penale.

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