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Agriturismo: ristrutturazione edilizia e detrazione Iva

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L’agriturismo è una forma turistico-ricettiva che può essere svolta dagli imprenditori agricoli, rispettando specifiche norme che ne regolano la connessione con l’attività agricola (art. 2135, c.c.). Alla nuova legge-quadro statale (L. 20.2.2006, n. 96), che indica alle Regioni i principi generali di definizione dell’attività agrituristica, si affiancano le leggi regionali che indicano alle imprese criteri e limiti per l’esercizio dell’attività stessa.

Al riguardo, dopo che l’ente impositore ha disconosciuto la detrazione Iva corrisposta su opere di ristrutturazione relative ad appartamenti destinati a case-vacanza di proprietà di un’azienda agricola, con la Sentenza 4606/2016, la Corte di Cassazione ha stabilito che è legittima la detrazione Iva per la ristrutturazione eseguita dall’agriturismo sugli appartamenti destinati all’attività di ricezione. Ciò in linea con la giurisprudenza di legittimità precedente, ove si registra un contrasto interpretativo.

Dati del processo

La vicenda trattata dalla Corte di Cassazione con la Sentenza 9.3.2016, n. 4606, origina dalla pronuncia con cui la Commissione tributaria regionale, in riforma del primo giudicato, dichiarava legittimo l’avviso di accertamento con il quale l’ente impositore recuperava l’indebita detrazione Iva versata in rivalsa da una società sui corrispettivi relativi ai lavori di ristrutturazione di appartamenti destinati allo svolgimento dell’attività turistico-ricettiva di case vacanze .

Con specifico riferimento all’Iva, il giudice d’appello rilevava che l’art. 19-bis, co. 1, lett. i), D.P.R. 26.10.1972, n. 633, che escludeva la detrazione d’imposta per i lavori di ristrutturazione degli immobili a destinazione abitativa, ad eccezione del caso in cui l’oggetto principale della attività d’impresa consistesse nella costruzione o nella rivendita di detti immobili, era da considerare norma di stretta interpretazione e dunque la deroga non era applicabile alle aziende agricole od agrituristiche, mentre riteneva illegittimo il recupero ai fini Irpeg ed Irap dei costi relativi ai predetti lavori che erano stati portati in deduzione dalla società (art. 75, ora 109, D.P.R. 22.12.1986, n. 917 ).

Nel seguente ricorso per cassazione la società critica la decisione impugnata per violazione dell’art. 19-bis, co. 1, lett. i), D.P.R. 633/1972, in quanto l’affermazione secondo cui il significato della norma sarebbe univoco nel porre l’equivalenza «destinazione abitativa» = indetraibilità, risulterebbe in contrasto, sia con la legge delega (art. 3, co. 66, L. 23.12.1996, n. 662 ) che autorizzava il Governo a disciplinare i casi di indetraibilità dell’Iva in relazione ad acquisti di beni e servizi non destinati alle finalità dell’impresa, sia con il principio costituzionale di eguaglianza (art. 3, Cost.) riferito al diritto alla detrazione dei soggetti passivi Iva, sia con la normativa comunitaria (art. 17, Direttiva 77/388/Cee, Consiglio 17.5.1977) che non consente agli Stati membri di introdurre limitazioni all’esercizio della detrazione d’imposta, se non per contrastare le frodi ed in ogni caso previa autorizzazione dell’autorità comunitaria e per periodi di tempo limitati.

Quadro normativo di riferimento

Si premette che secondo il Codice civile (art. 2135), l’attività agrituristica è considerata attività agricola.

Circa l’ambito della specifica normativa di settore, in un primo tempo, tale attività era originariamente disciplinata dalla L. 5.12.1985, n. 730.

Successivamente, in attuazione della delega disposta con l’art. 7, L. 5.3.2001, n. 57, è stato emanato il D.Lgs. 18.5.2001, n. 228, che:

  • all’art. 1, co. 1, ha sostituito l’art. 2135, c.c.;
  • all’art. 3, co. 1, ha stabilito che la nozione di «attività agrituristica» deve essere riferita all’«organizzazione di attività ricreative, culturali e didattiche, di pratica sportiva, escursionistiche e di ippoturismo finalizzate ad una migliore fruizione e conoscenza del territorio, nonché la degustazione dei prodotti aziendali, ivi inclusa la mescita del vino, ai sensi della L. 27.7.1999, n. 268».

In seguito, l’attività agrituristica è stata ridefinita dalla L. 20.2.2006, n. 96, che abrogando e sostituendo la precedente L. 730/1985:

  • all’art. 2, co. 1, ha individuto il contenuto tipico dell’attività agrituristica, che viene riferito all’«attività di ricezione e ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’art. 2135 c.c., anche nella forma di società di capitali o di persone, oppure associati fra loro, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione con le attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento di animali»;
  • all’art. 2, co. 2, lett. a), ha stabilito che rientrano fra le attività agrituristiche «dare ospitalità in alloggi o in spazi aperti destinati alla sosta di campeggiatori (…)»;
  • all’art. 3, ha previsto che «possono essere utilizzati per attività agrituristiche gli edifici o parte di essi già esistenti sul fondo» (co. 1), precisando opportunamente che «i locali utilizzati ad uso agrituristico sono assimilabili ad ogni effetto alle abitazioni rurali» (co. 3).

Catasto rurale

Infine, il settore agricolo è stato interessato anche dalla riforma del catasto rurale, attuato con D.P.R. 23.3.1998, n. 139, che ha previsto:

  • all’art. 1, co. 4, che «le costruzioni rurali costituenti unità immobiliari destinate ad abitazione e loro pertinenze vengono censite autonomamente mediante l’attribuzione di classamento, sulla base dei quadri di qualificazione vigenti in ciascuna zona censuaria»;
  • all’art. 1, co. 5, che «le costruzioni strumentali all’esercizio dell’attività agricola diverse dalle abitazioni, comprese quelle destinate ad attività agrituristiche, vengono censite nella categoria speciale “D/10 – fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole”, nel caso in cui le caratteristiche di destinazione e tipologiche siano tali da non consentire, senza radicali trasformazioni, una destinazione diversa da quella per la quale furono originariamente costruite»;
  • all’art. 2, co. 1, la sostituzione dell’art. 9, co. 3, D.L. 30.12.1993, n. 557, conv. dalla L. 26.2.1994, n. 133 :
    • da un lato, prevedendo una serie di requisiti soggettivi ed oggettivi ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali per i fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa posseduti dall’imprenditore agricolo o dai soggetti impiegati nelle attività agricole o connesse;
    • dall’altro, disciplinando altresì le «costruzioni strumentali all’attività agricola», stabilendo, ai fini fiscali, che «deve riconoscersi carattere rurale», oltre alle costruzione strumentali alle attività produttive di reddito agrario indicate nell’art. 29 (ora art. 32), D.P.R. 917/1986 , anche «alle costruzioni strumentali all’attività agricola destinate alla protezione delle piante, alla conservazione dei prodotti agricoli, alla custodia del macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione, nonché ai fabbricati destinati all’agriturismo».

Cassazione, Sentenza 4606/2016

Nel decidere la vertenza, con la pronuncia 4606/2016 in esame, la Sezione tributaria ha accolto il ricorso della società.

Nel merito della vicenda occorre considerare che l’Amministrazione finanziaria fonda la pretesa indetraibilità dell’Iva sui lavori di ristrutturazione/manutenzione di immobili di proprietà di una società agricola svolgente attività imprenditoriale di affittacamere ancorché effettivamente destinati allo svolgimento dell’attività produttiva, sulla asserita inapplicabilità nella specie dell’art. 19-bis1, co. 1, lett. i), D.P.R. n. 633/1972, – nella versione vigente ratione temporis – secondo cui «non è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto di fabbricati, o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa nè quella relativa alla locazione o alla manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione o la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni. La disposizione non si applica per i soggetti che esercitano attività che danno luogo ad operazioni esenti di cui al n. 8) dell’art. 10 che comportano la riduzione della percentuale di detrazione a norma dell’art. 19, co. 5 e dell’art. 19-bis».

Occorre invece considerare che – secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. 14.2.2014, n. 3454; Cass. 29.4.2015, n. 8628) – il sistema dell’Iva, armonizzato in forza della disposizioni comunitarie succedutesi nei tempo (a partire dalla Sesta Direttiva 388/77/Cee), è retto dai due principi fondamentali di neutralità dell’imposta (che ne riversa il carico sul consumatore finale non imprenditore) e di detraibilità di quanto pagato dell’imprenditore per l’acquisto dei beni necessari per l’attività svolta (funzionale esso stesso al meccanismo della neutralità); quest’ultimo origina dall’art. 17 della Sesta Direttiva Cee, nel testo modificato dalla Direttiva 91/680, a cui tenore «nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto, passivo è autorizzato a dedurre dall’imposta di cui è debitore: l’Iva dovuta o assolta per le merci che ci sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo debitore dell’imposta all’interno del paese (…)» (cfr. Corte Giust. 6.12.2012, C-285/11; 8.5.2013, C-271/12).

È pur vero che l’art. 22, par. 8, della Sesta direttiva prevede che gli Stati possono adottare ulteriori obblighi (rispetto a quelli fissati nei precedenti paragrafi della medesima disposizione) che si ritengono necessari per garantire l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare frodi; ma le deroghe al sistema predeterminato dall’art. 18 e dall’art. 22 della Sesta direttiva Cee per la deduzione delle somme versate a titolo di Iva possono trovare giustificazione e applicazione solo se ammesse dal sistema comunitario).

La Direttiva 2006/112/Ce (subentrata alla Sesta Direttiva) contiene poi, accanto all’art. 176 (sostitutivo dell’art. 17 della Sesta Direttiva), l’art. 168-bis, introdotto dalla Direttiva 2009/162/Ue, che ha previsto, in caso di bene immobile acquisito dall’impresa e destinato sia all’attività di impresa che all’uso privato dell’imprenditore, una detraibilità limitata alla parte in uso del bene ai fini delle attività dell’impresa del soggetto passivo.

Detrazione Iva inerente ai beni acquistati

Da tempo la Corte di Cassazione, nell’esplicitare i tratti salienti del sistema della detrazione Iva attuato attraverso l’art. 19, D.P.R. 633/1972 , in relazione a beni o servizi acquistati nell’esercizio dell’impresa, ha chiarito che esso postula una necessaria correlazione fra i beni e i servizi acquistati e l’attività esercitata, nel senso che essi devono inerire all’impresa, anche se si tratti di beni non strumentali in senso proprio, purchè risultino in concreto destinati alla finalità della produzione o dello scambio nell’ambito dell’attività dell’impresa stessa, con la precisazione che «il nesso oggettivo che deve sussistere tra acquisto e impiego di beni e servizi non è quello di diretta e meccanica utilizzazione, ma si riassume in una necessaria relazione di inerenza tra la singola operazione di acquisto e l’esercizio dell’attività economica del soggetto passivo Iva» (Cass. 19.5.1992, n. 5987; 26.9.1997, n. 9452; 20.3.2009, n. 6785).

Inoltre, la Corte di Giustizia Ce ha ritenuto, per un verso, che «se un soggetto passivo, in un caso specifico, abbia acquistato beni per le esigenze delle sue attività economiche ai sensi dell’art. 4 della Sesta Direttiva costituisce una questione di fatto, che va valutata tenendo conto di tutti i dati della fattispecie, fra i quali figurano la natura dei beni considerati e il periodo di tempo intercorso tra l’acquisto degli stessi e il loro uso ai fini delle attività economiche del soggetto passivo»; per altro verso, che «una norma o una prassi amministrativa nazionale che imponga una restrizione generale del diritto alla deduzione in caso di uso professionale limitato, ma pur sempre effettivo, costituisce una deroga all’art. 17 della Sesta Direttiva ed è valida solo se sono soddisfatte le condizioni prescritte dall’art. 27, n. 1, o dall’art. 27, n. 5, della Sesta Direttiva» (Corte Giust. 11.7.1991, C-97/90).

La Corte europea ha successivamente precisato che il diritto a detrazione previsto dall’art. 17 e seguenti della Sesta Direttiva costituisce parte integrante del meccanismo dell’Iva e non può, in via di principio, essere soggetto a limitazioni, in quanto il sistema delle detrazioni è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’Iva dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche; il sistema comune di Iva garantisce, così, la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sè soggette all’Iva (Sent. 18.12.2008, C-488/07). Tenuto conto della cogenza in subiecta materia dei principi eurounitari, le disposizioni interne vanno dunque interpretate in modo che siano con essi compatibili.

Considerazioni conclusive

Con la Sentenza 4606/2016 in esame, il giudice di legittimità argomenta che l’attività agrituristica connessa alle imprese agricole è stata disciplinata dal Legislatore, che ha inteso ricondurla a un’attività tipica di organizzazione ed esecuzione del servizio di ospitalità e di alloggio. Tale servizio può essere fornito con l’utilizzo di immobili costruiti sul fondo e anche adibiti a uso abitativo. Si tratta così di immobili da considerare strumentali all’esercizio dell’impresa e ciò a prescindere dalla categoria catastale.

Perciò, in linea con i precedenti pronunciamenti (Cass. 3454/2014 e 8628/2015), la Sezione tributaria ha affermato che è detraibile l’Iva assolta in relazione ai lavori di ristrutturazione e di manutenzione eseguiti sui fabbricati rurali, qualora tali fabbricati siano strumentali all’esercizio dell’attività agrituristica. In tal caso, non opera l’indetraibilità di cui all’art. 19-bis1, co. 1, lett. i), D.P.R. 633/1972, che, invece, trova giustificazione solo quando il soggetto passivo destína l’immobile a un utilizzo estraneo all’attività d’impresa (ovvero ad uso promiscuo).

Infatti, i limiti posti sulla detrazione Iva per gli immobili adibiti ad uso abitativo, sono legati all’utilizzo proprio del contribuente, ossia quando quest’ultimo li adibisce a una personale finalità, diversa cioè dal regime di impresa.

Occorre così distinguere gli immobili ad uso abitativo che implicano il godimento diretto da parte del proprietario quale consumatore finale, da quelli utilizzati per l’esercizio dell’attività agrituristica, per i quali la funzione abitativa costituisce il mezzo di attuazione dell’attività economica. In tale ultima ipotesi, alla società spetta il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa (ex art. 18, D.P.R. 633/1972 ,), trattandosi di beni o servizi inerenti (Cass. 14.2.2014, n. 3455).

Viene così confermato quanto espresso dall’Agenzia delle Entrate con R.M. 22.2.2012, n. 18, secondo cui gli immobili abitativi, laddove utilizzati nell’ambito di un’attività di tipo ricettivo che comporta l’effettuazione di prestazioni di servizi soggette ad Iva, devono essere trattati alla stregua di fabbricati strumentali per natura, indipendentemente dalla classificazione catastale.

Secondo la stessa Amministrazione finanziaria, l’Iva su tali opere è detraibile e ciò anche se si tratti di un’impresa di agriturismo.

La Cassazione precisa, infine, che il riconoscimento della qualità agrituristica dell’attività di ricezione e ospitalità è subordinato al rispetto di alcuni requisiti: l’attività in questione deve essere svolta da un soggetto qualificato come imprenditore agricolo e deve essere connessa e complementare all’attività agricola; inoltre, quest’ultima deve risultare quale attività principale rispetto a quella agrituristica.

Da: Riviste 24

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